Antiquitates Italicae medii aevi : sive Dissertationes de moribus, ritibus, religione, regimine, magistratibus, legibus, studiis literarum, artibus, lingua, militia, nummis, principibus, libertate, servitute, foederibus, aliisque faciem & mores itali

발행: 1773년

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Pel valen. buomo Simon deli Abbate. o. ignori a festo uello Lioneo sua fi d Enea eos grand Oratore Che mandb a Turno, eierata como Leo F piem di gratia, e savio Amba- sciatore ς Pi Iauio su Simone a stare meo, De fetio delis gratie n have it fore; Piu honore ripori alii Aquilani, Ch Lione per Enea es Trojani. 3I. certo u Mercurio, Signori e costui Delii Dei , a cui te sue proprietati Sempre o presienti, e regnano a tui, Studia eloquena , scientia , doni dati, Ch con sua verga a morire Drui, rui morti se iυer jussitatiuLa concordanetia in accordo reduce,

Simone a di questo specchio, e tace. 32. vel valente fudier degno, honore

A Roma a Papa riand pro mente Nou si tro ob iama predicatore Con una lingua tanto bufficienter

Mia volon ς. vi dico apertamento glos domandate Pietro Navarrino Piglia , o quale o delia mi gente . contra raceio, como Patam No. Faro venire Leuante e Ponente Non emar ne is argento , ne d auro, Sapondo 'impegnare is camauro.

3s E etto questi, lettere e fare, E filiolis o magno si illo Simone ale Aquila te se mandare. La qua Ditera a leti in Consilio,

Bene Leendo tuti et Santo ore IDieendo ques Popolo e mio otior State fermi, e non abbiate pensieri, Che vi soccorreris en volentieri. 35. Deb immaginate,sa quanta allegrezeto Al Popolo, tali parole udendo I Tanta oavita, aut doueaza Stimare non spuis, comito compreudos Dicendo a Santita bera teuereZZa, tu pie a di noi laude vi rendo; Dicensor Dio , he non Iasii perire Chi a peccato, e voles peItire.

' dolor che di passon facem a missas Costui te vestigia di si e meo, o 'N Terra seguita senas Dun avaro. 38. Lingua es una 'e, che proserisse,

, Hebraica , ne Greca , ne a 'tua

L Bono de Papa Torno , como scri PContra di Braccio, Ila nostra Regina, Et a Simone commis che eis A Napoli, ove e la genteo sina,

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41. Mi ventrotto di Gennar vennero Consabili, e fanti molio armati Per no a Stisse niente, detennero, non dero che furo saltati, Ondo I ruppe , ct in ne ne preseers T e Conestabit elli piis regiati La quale cavalcata non Q in vano, Cibu morio Cola di Santo an . 42. Prigioni Antoneu di Santo Polo . Anche et fu uel Giovanni Paruta , Cristinor da Cerialdo , e non olo Molli altri, che la occa grande ha

Forono menati presso allo fluolo, Non ricordando a robba persita PChristo vi guaris o nuno manifesto;

Dicendo pur se fati mi vis que Ch i cola quem popolo alia ratis, La sne ella guerra sera atta.

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In ria arolo in ad alto et colle,

Facend grande onta, e villania,

Piaeque a San Pietro tua festa bennelta, Nullo Aquilano di morte 'ia ute, Di loro morti sono ne vianio no allo ponte e r altro a Collemagio. S. E gli uni e gli aDris van recessando, Coine a vera toria in pum pone, Per cortesia si morti recercando I Furti su uti si in uu argos eri no ando in Collemagio e sentcuno, E ' utipo in an orenet messo one; Tornare a loro sanete con oglia,

E li Aquilani a di bona Ulia. s. Piu, e pii glorη per questo ast ava,

In ' Aquila era gran malinconsa ;Persche a molai I odero mancava,

E mole delia Terra e n usus e De Drusiit a San Loreneto sava, Per Aquila vecta poca genia; ρὶ De ihaver o Stato mille anni stare, E a Nicol Guerrieri prese a partare d y I. Loreneto ne colle a mearo dὶ,

Tanto che rc cio torn ster certavea, A sar secreto quanto pti restara

turti contarini fece armare Con ulta gente de arme, et cir non erra,

L mattina di noti su alia guerra. 13. Crede vasi raecis essere celato, Che sua ornata non usse sevtu audi Aquila erat ni huomo apparecchicto,Perche a prima Misene fisa venula, Cou uardi ra, e se:to an recchiato Tutia a gente flava prove luta , non si tost alle mura si gluuio Sentito furi igni Aquilano, impunto. 14. Tanta figentes intorno alia Terra, Da pleri, e da cavallo tutio e pino, Aquila per e muri diserra, F di nolle, non era e malivo, La grauisridata per tutio isseerra , L poner delis cale li te mino, Gνidando i qui' ni o gente mattaristra pensata xo venusta atta.

da quale tuita 1 scuoprecia Citta , esin te trade.

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I3. Si grande era ustormo, e legridate , Tutte campane uouan a rumore, Ali arme per la Terra, e te chiamate Con lancie, e con balestre usician di fore, G idando e traditori non fratri, Gittavano te sale a rau furore '

Gessos in die ro portando grau eua. 1ώ. n Caualter di Corte eraden grande

Tremando avellava in quella prima Irdiis a Pirro , se voL, Iuto damme Cbe tanta gente, che non ei astamor Pirro ris' er di nolle a dormire, non fare a gente bigottire. 7, quella mattinasu una nebbia folia, Che ' tino ' altro non olea edere Le grandi oeia' mo , eci altro asiolia Rr una, sl nitra parte havea temere; Diceiam di Braccio, ut havea pena

Finche la nebbia sparsis, a mi starere, Lut 'ite fermo, e mai non si partio, teret inver aganica ne so . I 8. Dibendo Praecior non Ilisos havere

Periar o Popo mi faria iacere, Io nou posse, tu fiat f ho cercato; Nostram horma sentano lo apere, Col ignor di Folieno si e voltato,

Subitamente non dimorato Alr Aquila ' ando u suo crucellerim lettere di prento cowe e formato,

eto De Signo Braccio venne to pariare. Sιrijs et Conte , Alvito is ieiparenti O Aquilani, e io vi posse accordare

Col ignor ra. tio, faret contenti Vedilheci augura a Terra i et Mare , Si juta Braccio a tuiti gualmente .

U Aquila ' intes in poche parole, resorisse, che accordo non ci vole . 21. E Braccio ne se prova pii fateCon Camponi sibi potere partare: In persona evan che me intendates Mai ι li volsero niente a coltare Udsa vergogna alle granuridate,

Trasse balsre grandi a non fallare, trasse molle prete de hombarde, Como nimico mortale siluaris. 22. edendo Braccio, ebe non si alia

A e guerra, ne parole ne nulla arte,

O quaudo avia grande malineonsa, lettere mandavi in gni parte I Fireneta, a Pervia messe glaConfortandos a scri vere in arte,

L Castella D Tuscio, e Santo Pio,

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Che tuite te se tomere de attere;

Et ammantale in mezz della via E Braeei and con a sua mente ea

campo a Tusci con sua Comoagula. Piu, e piis giorni is campo l tennsyHor diret quel, che ne intervenue.

r8. A Braecio ribellos Barisiciano ILa Torre, et Castellanesi usti atterrae

Braecio gli auia a campo a mano a mauo,

Hor quivi fece la sis a guerra gBombarde spem appressio, e Ioniano uuante balestre r uni, e li altri serra LeisPandi cavi a dentri di sire

Molli e ne moriano a tuti l hore 29. E in tu arti e cavi refroutaro; lite coine a fortuna pone sLe gran hombarde alia cava abis μs Che era di botto divo gran Torrones Tanti colpi di pietre vi donam. La Torre casa e et cava fondyne. Si come ster verita tu punio hoci,

3o. Tulli li uomini sece far pristioni r

quanta roba vi tu uada uata, Grano, r ent di molle retioni, Non o contaria lingua atterata Di semiue uni alii ait, ne a doni Jὶ ii di cento ne u adunata ,

Come di an Pio cos te possItaro, Ee u Aquila nude is mandaro Blor Oi o che ei venian si mammoletti Chi e uno in iraceio, e r altro perte mani IHor veri crudi cani, e audetii Mandore nudi quelli corpi humani L Aquilani di doglia eran consilii, Dicendoris Braeci crudo pia de cani Braccio mania quelli prigione a Teramo, Ma be ne se venisti Dio e Sam

32. Tanto detratio non e a proferire, Tanta vergogna non retiosiusleurires In altra parte io mi Oglio eguire, Cia cun noti is pincelavi, intendere rDeti armata de Duca voρlio dire,

Ch a Napoli faceva grande offendere η Re lutei eo gente de Reame Figuerra a Napol per acquisar fama .

Per parte di Braccio, or attenti state . Cou gente Catalana ad una cola; Vincer non si sto ea, che utendate,

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33. Per stto Marao Diu ferina avea, che di ina di Braccis era pagato, Ferm lo tempo come si ovea; Con adama , e o Papa si e accordato

A dodici ' Apγile, in fede mea, Che Napoli si fu rico verat ;Γ armata venne dentro re mente, Haveva a Regiva, ed altra gente

35. Mai non si vide una gente pia bella

Da pleri, e da cavallo tutia armata, Come a vera loria ne avella, Sedici milia su per numerata;

In poco tempo seria e castella, Benebe di gran battvlia vi erasata, Alie Castella fur alte basile Convie hor ire ob Aquila faeia. 37. Chi rege it metuo volo Aquilano, Chi e Cainei lividi Margo, e di Aprile

Buo Citta linito vanni di agnano, Colanto dimota Nicola a unstile, E Rotondo di in gia per certans, Marin di neon dicieco uomo gentile,

Biagio di Tarratono non si lassa, Anco dei Cinque elison evidi Sassa. 38. Facendo opus D cerne, e consigito, Li uni condi altri ad una relia in erra, Aman insieme come adre, e Alio Solliciti a guardare en a terra, Per scampore dat grande perlatio Di Braecio, he tis sa sera guerra, Sari in Configlio, e doui parole apa, Seueris accommondano alio Papa.gst Signori, Cittari mandam eorrieri At Sommo adre molio riverenti: Per Dio soccorri, he ne a mesieri, Che non pera di fame tanta gentes E Papa Ierisse a Popol volentieri, A putei Capitani milmente e Mettet in pisto in eamini diritti,

o Mandore i Papa dena da pagare, Che iochedun si posse en fornire 'Li Capitaui dendo D partare, Ben re mente Unu fe'guarnire, Che adnma e r hebbe a commandare, Che restamente debbiate venire INon pia di isse Iacob lo intenne

Con trecento lanci a Madam venne.

I. Armati in punio Uni iovine fresco Bene a cavallo clascuno agitardo Di icon arto ut o mi ause o, II vento in alto IZava is flendardo Impo si liuin il bon Conte France soFieti di foreta, che non e conrri, Gio vine bello, pleno ' ardimento, men seco cavalli ottocent .

42. Un Paradiso pare uelia gente, innuno armato come si diletia Appresso a cosior venne pressam uteia uel aloroso, e savio Micheletia

Odi be fece a nostra Regina , 43. I ho letto pur di Giulia, che Gliuola Di Cesare, e di Pompee o Ulle,

Come Maestra, savia ancor discuola Dei adre eo marit senti Nile, Onde a fama sua e monia vola Mentres viva, ch ogni errore togito pCo suo sapere e re misee pace 'Cos se nostra Regina verace. 4 . Dicendo 'cio Ulio, e piae a Santo adre, Messer acopo e Frances Conte . Amor vi porto quanto vostra Madre, Per Dio non si ricordi essen onte g dendo parot tanto leuia re Tulli in ginocchio tegano e ponte,

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si misee a punio a gente erace, E d Madama gnun licentia prende, In er Campagna a caminare attende. 2. Hor Itoruliam a Mon Papa uar ino, Che adunare e tueta ua gente Da grande alio mea dano a picciolino Da pleri, e da cavallo tanta gente,

E presumente i misi in caminorinti sesito T arme rituo te, Benedicendo fuere Dio vi fulvi, Preser camino, e venuero ad Albi. a. Et Santo adre disse alio Loeator Bened la mi gente, e iei Glioli ;Se nullo more, vi che a salvato, Che ma nou seuta ne pena, ne duosi BVaccio a con i boi communicato, Date altro nondo Uni sperana tolli, Ch e anima, e to corpo ne si morio, Sitome e falso, che combatie a torto. quem ae Asse I Legato ven

s. alciam flare questa gran rigata,E torniam a buo Pietro avarrino: Delia occa di medio era allata, Si an uello magno, e stellegrino Facendovi di uerra mi urata, Chi si era giout be face tapino IDi contare gni cola πὸ ma accio, Hor itorniam , a grai Signore Braccio 6. Si conne Capitono signoriis di gni parte have corrieri, e pia; Costante, e fermo eo animo virile , Seutendo, che a gente ne vensa, E fu a di giorni ventiuno ' Aprile, Per uulti Apruzz mania, non dormsau Tutia sua gente riuuque vi era

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y. Di villania I fu dete insinita rMarito di ieola af a codardo Ii Braceio ne Gia superbia infellonita, Au Aquila minaecia, e fa riguardo I P nando per a via Da gente ardita Casio in terra di Braccio Oseuor ,

Eures o laetaro in ta Iatino , Mise campo ne igne di Pettino. Io. ove vi imor deui forni otio Con mole di sua gente in compagnia IV altro campo au' Aquila di otio In alle che si chiam Santa iaci Fu Nicol Guerrieri franco, e dotio Con tetro Gioan Paolo, e molio genia In due campi aecampati tuiti quan i IPO Braceio θ' venire molli fanti. II. Da Pervia erodi, e Citta dico stella Fe venir fanti, e molli bale trieri, Delia montagna venue gran rappello, Di Cleoli, e di molli altri sentieri, E d Abνuzz fanti νmati a pennesio Obedendo et ignore tanto altieri; Diuunt in punio a floria produco,

Tutti alloratare fece in Monteluco. I 2. Hor hi edesse horma gli visasti grandiu Tanti cavalli, e tanti fanti a pleri Ad Aquila donava grandi assan vi, Ch di nolle e di giorno fericleis, E quanto pius moretano a far anni, Meno che Saracini aut hau sede, Tutti crudeli, e di vi conditioni, Tulli evastavam sebe, e Pennoroni. 13. Per tutio chi pian lalia, e bi

montagna,

E su ne monte copre tende, Vinci, Ch da gni lato pare gran campagoa Da di ebe cogni isto sinciis Nostri Aquilani, ch era gente magna, Dicendo a Braccio mai non ci Ia vinci, F ci che sat che morire Uliamo Prima ob in vostre mani mal vetabiamo.

I4. Hora loqι iam questo uuanto Jtare, Che segnitar conven che mi appareccbie; Pietro avarrivo vo ritoruare Calato in vallatis a Fontecchisy u es ella sua gente fece armare Dicendo e non m notiarbute ecchie, Tornam tosti a gua Ornar vi impetroci

cor, ero per u a San Dimetro . Is Hora notate, che in s miseri, si come a fortuna ' ha in frontata I Mosses appresso Nicol Guerrieti E con sua gente eivsse in a vallata In una planura in nobi sentieri Γ una con f aura gentesio infrontata,

Gridando renuno e tale parole asta;

di Stisse a soria mi differra;

I 7. mi quanta fretia ui se cavastare Molia illa seu gente heu iratas Δυ e Pietro and ad speriare zPo Braccio rem non te dimorata, A diece vi di arato, come ansire, Da Pettino leυδ ιι ita ' armata,

E and a Stisse, quem Dis rimedio, Ebifermolli in tutio et grande assessio. IS. Et infra quem mezzo ii Aquilani Per ι luto ne i ieci Aquila sente , Si come o glier magni e soprasi S ordin che s arma Fero a gentes A tuiti hi segna mena Ie mani, innuno lati te armi arditamentes Di quanta gente vien Mevan mostra, Grande miseri ebrandiamo allagiostra. Ist. Si

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re ,

Hor hi desse amburri sonare frini uarto per se venia ordinato, Che veramente u Paradiso pare 'Di far atroglia fi una gran mobL

Che fero delii fanti e tremilia.

gente. Dieendor certo vo non antWrelevi,

CP at suo disperto is mania per terra A

Prima che si arrendesse per rigione. 14 Μ adeso I fu sopra tanta stente, Ch li suo rupe, Gui rimas pria sos

ne da ulmona Carapesse, at in qualunque inaniera e errore.

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D quanti et ne farem e se.

P. Hora Dorniam a Bracci posen euS utendo, heri emici eran enuti, Fe radunare tuita a sua gente, Diceudor a te allegri, e pro Peduti, Tisit ut saccio ricchi veramente , Io non valera lalia partiti Cisseu feriat attegri, e volentieri fu attaglia vi accio cavatieri.

go. E seu alli vi venticinque de Mugio Undeci quadre fece di sua gente,

E stadia allegro e di uom conare io, qui si dettera quae e valente: Per a mi ferio vi rimeritararato, arricebero rivi tuiti certamente resonati tute in punt da far giostra Parma uu Paradiso quella Mostra. x idendo se paeo δε Castitans Diuenta Paliliuo chi e codardo pGridano rutti hormai Dino alle mauo, sederassi hi non e gogitardo Lesiquadre tuti in punio per que pia Tu to lautorno , s alla sera a tardo

Tornaro alis auae sue, se Di mi

Andaro a Braccio a magno adlatione Abicercareto, e fareIi honore A si Dorio come e di agione Pariando Braccio liet , e diduo cuore P nun mi dica vostra intenetione, Cho habbiam a fare, partiam latino.

Braccio die cenno vi attameiata Che te ne pare ematia i dicem. Si nore dico,poiche a commandato, Seeondo che mi pare in sede mea, E fac dolo, e frauco vostro Stato,

Son certo, coutro no non verra mino.

Broeeio, che s animo non tr a paro,

Diciam di PVaccio, che , suo atti

a tende

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